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Paolino Ranieri, il mitico partigiano «Andrea», ci ha lasciato

pubblicato da il 3 Giugno 2010


Facciamo nostro il saluto pubblicato da Archivi della Resistenza.
Nella notte tra il 2 e 3 giugno è morto Paolino Ranieri figura leggendaria della Resistenza, commissario politico della Brigata Garibaldi “Ugo Muccini”, Medaglia d’Argento al Valor Militare, membro del consiglio nazionale dell’ANPPIA, presidente dell’ANPI di Sarzana.

Paolino RanieriPaolino, nato a Sarzana nel 1912, era stato testimone, ancora bambino, dei celebri fatti del 21 luglio 1921, quando la città si ribellò alla violenza delle squadracce fasciste. Negli anni successivi maturò idee antifasciste e dalla fine del 1932 entrò a far parte dell’organizzazione clandestina del Partito Comunista. In quegli anni nessuno può sospettare che dietro il giovane barbiere vi sia un abilissimo propagandista, che arruola i giovani insofferenti al regime nella cellula cittadina, e che nella sua bottega di barbiere, proprio sotto la sede del comune, vengano distribuite le direttive dell’organizzazione e la stampa clandestina. Nel 1937, però, in seguito ad una spiata viene arrestato e processato per attività sovversiva dal Tribunale Speciale, con una condanna a quattro anni di reclusione. L’esperienza di Regina Coeli e Fossano costituiranno anche per lui quell’«università del carcere», fondamentale nella formazione politica di tanti antifascisti italiani: non solo lo studio collettivo con i compagni intellettuali (lezioni di politica, storia, economia, francese e ovviamente tanto materialismo storico), ma anche una pratica di condivisione e fratellanza che rimarrà una scuola di vita per il futuro. Quando nel 1940 viene rilasciato, a seguito di una amnistia (si rifiutò sempre di fare domanda di grazia), è ormai un uomo maturo, un «rivoluzionario di professione» che ha ben chiaro quale sarà il suo compito.

Con la caduta del fascismo e l’armistizio dell’8 settembre, il C.L.N. e gli antifascisti del territorio iniziano ad organizzare la Resistenza armata all’occupazione nazifascista e così Paolino imbraccia il mitra e diventa il partigiano «Andrea», prendendo il nome di battaglia dal protagonista del romanzo di Gorkij “La madre”, che ha letto negli anni del carcere. «Andrea» è commissario politico di un distaccamento che arriverà ad operare anche nel parmense e che si farà onore con una azione di grande importanza, come la Liberazione di Bardi nel giugno del 1944. Ritornato sui monti sopra Sarzana assume anche il ruolo di Ispettore di Zona per conto della Federazione del P.C.d’I., poi da lì a pochi mesi diventerà il commissario politico della Brigata Garibaldi “Ugo Muccini” che arruola tra le proprie fila quasi un migliaio di combattenti. Paolino sa bene che la Resistenza non può limitarsi a essere soltanto uno scontro militare, ma che è suo compito formare le coscienze di quelli che dovranno costruire la nuova Italia, inseguendo in ogni gesto quella moralità della Resistenza che deve contraddistinguere il partigiano. E così tra un’azione e l’altra, nelle sere a riposo davanti al fuoco, inizia il lavoro politico con i partigiani della Brigata “Muccini”, che vedono in «Andrea» un modello e una guida. La Brigata “Muccini” diventa presto una spina nel fianco delle forze militari nazifasciste, fino al celebre rastrellamento del 29 novembre del 1944, quando la Wehrmacht e la R.S.I. costringono gli uomini della “Muccini” allo sganciamento al di là della Linea Gotica, verso i territori già liberati. «Andrea» e il comandante Flavio Bertone «Walter», rimangono insieme a poche decine di partigiani sul territorio a combattere una battaglia che si fa ancora più dura. Infatti pochi giorni dopo, il 14 dicembre 1944, Paolino viene ferito ad entrambe le gambe dalle Brigate Nere, che lo portano nel famigerato carcere del XXI a La Spezia. Nel carcere, da cui pochi sono usciti in vita, Paolino rimane quattro mesi in condizioni di detenzione durissime, fino all’aprile del 1945 quando riesce a farsi liberare e ritornare nella sua Sarzana appena in tempo per la Liberazione.

Dopo la Liberazione «Andrea» entra nel comune della sua città, camminando ancora sulle stampelle, e diventa «il sindaco» (anche nei nostri giorni, se si passeggiava con lui per le vie di Sarzana, lo si sentiva chiamare così). E sindaco sarà, ininterrottamente, fino al 1971, per 25 anni, lasciando di sé il ricordo di un grande amministratore, di un politico che ha fatto dell’onestà il perno di tutta la sua azione.

Negli anni successivi Paolino non si è mai allontanato dal “fare politica”, ha svolto un ruolo di fondamentale importanza nell’ANPI e nell’ANPPIA, impegnandosi strenuamente nella difesa dei valori della Resistenza e nella salvaguardia della memoria storica. Nella seconda metà degli anni Novanta, Paolino vuole trovare una soluzione al progressivo allontanamento delle giovani generazioni da una memoria della Resistenza, che è spesso meramente rievocativa, e matura l’idea di avvicinare quel patrimonio di idee con linguaggi nuovi. Dall’incontro con ricercatori e artisti nascerà il primo Museo Audiovisivo della Resistenza in Italia, che significativamente sorge dalle rovine di una colonia estiva, che i partigiani avevano costruito, in uno dei luoghi di battaglia, per ospitare gli orfani di guerra e i figli delle famiglie indigenti nel dopoguerra. Il Museo delle Prade a Fosdinovo, ha la particolarità di essere un museo di narrazione, che ai tradizionali cimeli sostituisce i volti, i racconti di vita e le memorie visive di alcuni protagonisti della Resistenza. Oggi il museo è diventato un punto di riferimento nel panorama nazionale, una meta di gite scolastiche e di visitatori provenienti da tutta Italia, sede di importanti iniziative culturali, come il festival della Resistenza “Fino al cuore della rivolta”. Paolino aveva avuto una grande intuizione, per questo andava fiero di questa creatura e incoraggiava, come sempre, i più giovani iscritti alle ANPI ad impegnarsi per far conoscere questo importante luogo, a quante più persone possibili. A chi, come noi, si meraviglia delle coincidenze che talvolta ci affida la cabala indifferente dei nostri giorni, farà un certo effetto sapere che Paolino è morto proprio nel giorno che il museo festeggiava il suo decimo anniversario dalla inaugurazione (3 giugno 2000)

 

Raccontare la vita di un grand’uomo come Paolino negli spazi risicati di una newsletter (lui avrebbe sorriso di questa parola) è impresa ardua e decisamente ingenerosa. Senz’altro vi saranno altri luoghi e momenti ma non si può tacere il lato più doloroso della vicenda, quello che tocca nella carne viva chi come noi ha avuto il privilegio di essergli amico. Perché oltre al mito Paolino, l’uomo che aveva vissuto per intero il «secolo breve» (tanti compagni che venivano per la prima volta al festival o al nostro 25 aprile chiedevano di questo straordinario novantenne, volevano vederlo, conoscerlo, perché la sua fama andava ben oltre i confini della regione) c’era appunto l’amico, o per meglio dire, il compagno che sapeva esprimerti un affetto profondo, vero e commovente; un calore umano che te lo faceva sentire come una persona vicina, uno di famiglia. Paolino era anche un seduttore della parola, che sapeva adeguarsi ad ogni contesto comunicativo (altrettanto efficace con i bambini delle elementari come con gli studiosi di Resistenza), aveva una capacità oratoria, che non si limitava ai ferri del mestiere del politico di professione, ma nelle sue conversazioni si scorgevano una ironia e una arguzia che erano il segno di una intelligenza raffinata e, soprattutto, l’indice di una attenzione e di un rispetto degli altri che non aveva perso nemmeno negli ultimi struggenti incontri nel letto d’ospedale. In questi anni in cui regna uno stato di insicurezza e precarietà, Paolino poteva sembrare alle generazioni più giovani un dinosauro del secolo scorso, e invece, per chi lo conosceva diventava subito un modello da seguire, nella coerenza di principi e nell’esercizio costante delle armi della critica (Paolino è stato più eterodosso di quanto si possa pensare). Anche la sua tenacia e la sua voglia di vivere sembravano inestinguibili, per questo un altro maestro, che ci ha lasciato l’anno scorso, Ivan Della Mea, definì, in una sua poesia, Paolino «eterno». Nei destini incrociati (e disastrati) della sinistra italiana, Paolino costituiva anche una sorta di àncora di salvezza, ci esortava con il suo esempio a non perdere la speranza anche nei momenti più bui e dava nuova lena alle nostre battaglie; era (probabilmente a sua insaputa) un elemento di sicurezza e conforto: «Come sta Paolino?» ci chiedevano molti compagni che abitano fuori e tutti noi a ripetere che stava benissimo che la sua lucidità era impressionante, che era il più giovane di tutti noi. Forse la sua morte, tra i tanti dolorosi distacchi, rischia di segnarne uno ulteriore in questa direzione.

Eppure non dovrà essere così! Tutta la sua vita è stata vissuta all’insegna di un impegno civile e di una passione militante di raro impegno e coerenza: la politica, nella sua accezione più nobile e ideale, era per lui uno strumento per trasformare la società, per combatterne le ingiustizie seguendo quegli ideali di giustizia sociale che aveva visto realizzati nell’esperienza del carcere e su ai monti, insieme ai partigiani. In queste settimane ci confessava spesso la curiosità di sapere come sarebbe andata a finire, che ne sarebbe stato dell’Italia di domani, magari del dopo Berlusconi, ma questo suo dire implicitamente ci chiama in causa, ci fa interrogare sul «che fare?», noi oggi, ci chiede il conto del nostro impegno a combattere lo stato presente delle cose e ci esorta a non arrenderci al nemico più insidioso del “menopeggismo”, della sconfitta a tavolino, perché «un altro mondo è possibile» non è soltanto lo slogan di un facinoroso no-global, ma era il motto che Paolino sentiva suo e amava ripetere sulla soglia dei novantotto anni.

Paolino, l’«eterno», non ci lascia, non ci può lasciare. Il suo esempio non sarà dimenticato, noi di Archivi della Resistenza, insieme ai compagni dell’ANPI Sarzana e al Comitato Sentieri della Resistenza, per prima cosa dedicheremo alla sua memoria l’edizione di “Fino al cuore della rivolta” di quest’anno (che si terrà al Museo della Resistenza dal 30 luglio al 3 agosto). Ma quello che più conta, è che porteremo a termine il progetto di un libro che stavamo curando insieme a Paolino (dal 2007), attraverso cui si racconta tutta la sua incredibile vita dall’infanzia ai giorni nostri. Si tratta di un libro di enorme interesse e non essere riusciti a portarlo alle stampe, prima che Paolino ci lasciasse, costituisce per noi un rimorso non piccolo, per il quale ci scusiamo con tutti voi. Pensiamo che un buon modo per ricordare Paolino sia anche dare spazio al suo racconto, con l’anticipazione di quello che sarà il primo capitolo del futuro libro (clicca qui)

Venerdì 4 giugno alle 9.30 la salma verrà portata dall’obitorio davanti alla sede dell’ANPI di Sarzana in Via Lucri, 7 (ex Vecchio Mercato) per un saluto, insieme ai compagni e alle compagne delle ANPI. A conclusione del saluto ci si sposterà nel Comune di Sarzana, nella cui Sala consigliare verrà allestita la camera ardente, venerdì dalle ore 10.30 alle 21.00 e sabato 5 giugno dalle 9.00 alle 16.30.

La commemorazione funebre avrà luogo sabato 5 giugno alle ore 17 in Piazza Matteotti. La salma verrà tumulata nel cimitero di Sarzana.

Archivi della Resistenza e il Comitato Sentieri della Resistenza esprimono tutta la propria vicinanza ai figli Vanda e Andrea, alla nuora Michela ai nipoti Paolo, Elena e Giacomo, ai pronipoti Andrea e Giulia, ai familiari tutti, ai compagni e le compagne dell’ANPI di Sarzana e a tutti quelli che gli hanno voluto bene.

Per le espressioni di cordoglio potete scrivere al nostro indirizzo (info@archividellaresistenza.it) a quello del figlio Andrea (aranieri@comune.genova.it) oppure mandare un telegramma all’indirizzo Piazza Martiri della Libertà – 19038 Sarzana (SP). Abbiamo creato sul forum del nostro sito uno spazio per ricordare Paolino (clicca qui)

Caro Paolino, che la terra ti sia lieve.

Il collettivo di Archivi della Resistenza

 


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